Mafia, è morto l’empedoclino Pasquale Salemi: il pentito dalle mille giravolte

FONTE: https://www.grandangoloagrigento.it/?p=553719

E' morto a San Severino Marche (Macerata) stroncato da un male incurabile, l'empedoclino Pasquale Salemi, 66 anni , alias "Maraschino" (come il liquore che amava tanto bere) primo pentito della mafia agrigentina. Salemi è stato tumulato a Porto Empedocle dopo un semplice rito funebre, costituito da una benedizione, avvenuto nel cimitero empedoclino davanti a pochi intimi. Nessun manifesto funebre a differenza di ciò che avvenne nell'ormai lontano 1997 quando l'intera città, dopo la diffusione della notizia della collaborazione con la giustizia, fu ricoperta di annunci funebri riportanti la "morte" di "Maraschino". Ed è proprio in quell'anno che Salemi decise di pentirsi. Condannato all'ergastolo per l'omicidio di Antonio Messina, inteso "u birgisi", a Realmonte, Maraschino inizia a traballare. Dissidi sopraggiunti con l'allora capo mafia Luigi Putrone , che lo "posò", hanno accelerato solamente il pentimento. Anche perché Maraschino fiutava aria di morte e le acque per lui si erano fatte terribilmente mosse. In paese trapelavano notizie di un possibile pentimento e, in un batter d'occhio, apparirono sulle mura di "Vigata" manifesti funebri intestati a Salemi. Così, nel maggio 1997, Maraschino si presenta alle porte degli inquirenti e comincia la sua strada da collaboratore. Neanche un anno dopo scatta prima grande operazione antimafia nell'agrigentino, Akragas I, che infligge un durissimo colpo alla mafia del suo paese d'origine. Parla, definisce dettagli ma tiene fuori dalle accuse i suoi parenti, i Messina, che scamperanno alla prima tranche del blitz . Torna alla ribalta delle cronache recentemente e lo fa in pieno stile Salemi. 8 Ottobre 2015: la Direzione Distrettuale Antimafia toglie dal programma di protezione il nome di Pasquale Salemi. Ancora una volta, forse l'ultima, Maraschino compie l'ennesima giravolta: viene pizzicato, infatti, a contattare parenti e conoscenti di Porto Empedocle per ottenere informazioni sullo stato di Cosa Nostra e poter girare a proprio vantaggio quanto appreso. Analogamente, Maraschino viene ulteriormente intercettato mentre, al telefono con una donna pregiudicata, indicava la via, oltre a chiederle di fornirgli un pc, per "vendere" collaboratori di giustizia. Ed ancora, è stato confermato come Salemi avesse messo su un vero e proprio giro di affari che gli permettesse , cercando nuove conviventi da inserire nel programma di protezione, di poter dividere i proventi dei contributi derivanti dallo status di pentito. Ed il 28 maggio 1997, come anticipato, rese la prima confessione all'allora sostituto procuratore della Repubblica di Palermo, Teresa Principato che incontrò e raccolse le prime dichiarazioni del neo pentito nei locali del Comando Gruppo Aeroporti/Fiumicino della Guardia di Finanza. Le prime parole messe a verbale furono queste:  "Ho spontaneamente  chiesto di parlare con la S.V.  per riferire diversi episodi delittuosi  dei  quali  sono a conoscenza, relativi ad un periodo della mia vita del quale sento  l'esigenza di cancellare ogni traccia. Sono originario di Porto Empedocle , città nella quale ho vissuto  insieme alla mia famiglia sino all'ottobre del 1996, allorchè ho deciso di trasferirmi, anche per trovare lavoro, in un paese della provincia di Ravenna, dove erano già stanziati dei miei parenti  che avrebbero potuto aiutarmi  a trovare un'occupazione. Per quanto posso ricordare, non ho procedimenti penali in corso. Sono stato condannato in primo grado  dalla Corte d'Assise di Agrigento  sia per l'omicidio  di Antonino Messina, avvenuto in Realmonte  il 21.4.1987, sia per associazione  mafiosa. In secondo grado, però, sono stato assolto da entrambi i predetti delitti e la Cassazione ha confermato tale sentenza. Provengo da una famiglia che ha avuto alcuni membri inseriti in "Cosa Nostra": in particolare, mio cugino Gerlando Messina, ucciso nell'Agosto del 1985;  Giovanni Mallia e Filippo Adorno, entrambi appartenenti al clan dei "Grassonelli" di Porto Empedocle, con i quali la mia famiglia aveva forti motivi   di contrasto perchè adottavano sistemi troppo aggressivi per ottenere il controllo economico del territorio. Sono stato altresì sottoposto alla misura di prevenzione  del soggiorno obbligato  per anni due mesi sei, poi ridotti ad anni due. I primi quattordici mesi  li ho trascorsi ad Alessandria della Rocca (AG) e gli ultimi sei a Porto Empedocle. Provengo da una famiglia, alcuni membri della quale sono stati inseriti in "Cosa Nostra": in particolare, mio cugino Messina Gerlando, ucciso nell'Agosto del 1985 da Mallia Giovanni e Filippo Adorno, entrambi appartenenti al clan dei "Grassonelli" di Porto Empedocle, con i quali la mia famiglia aveva forti motivi di contrasto perchè adottavano sistemi troppo aggressivi per ottenere il controllo economico del territorio; Devo fare presente alla S.V. che la mia volontà maturata in questi ultimi anni,  è proprio quella di collaborare con l'Autorità giudiziaria, anche per il bisogno di sradicarmi definitivamente da un ambiente criminale nel quale non posso più vivere. Come ho già detto, io non ho condanne o procedimenti in corso e non chiedo quindi sconti di pena, nè ho bisogno di sottrarmi a provvedimenti restrittivi,  anche perchè i fatti dei quali intendo parlare sono per quanto riguarda me sconosciuti agli inquirenti. Avevo già manifestato la mia volontà di collaborare al commissario di P.S. Marco Staffa di Porto Empedocle già alla fine del 1995, anche perchè oramai nel territorio si uccideva per ragioni assurde: per motivi banalissimi, per esempio, erano stati uccisi Riccardo Volpe, Ignazio Filippazzo, Salvatore Virone, Giuseppe Mallia ed altri, omicidi dei quali successivamente parlerò approfonditamente". mio zio Messina Antonino, che rivestiva la carica di rappresentante  del mandamento di Agrigento, stato ucciso nel 1986, nel corso della guerra di mafia scoppiata tra i Messina  e i Grassonelli  a Porto Empedocle. Sugli autori di tale omicidio, commesso da persone che a mio zio avevano sparato da una moto, noi non avevamo certezza, ma nutrivamo sospetti  nei confronti di tali Mallia  e Iacono  Calogero. Per tale motivo fu decisa l'eliminazione dei due: in particolare il Mallia venne ucciso su decisione di Salvatore Fragapane da Fanara Giuseppe di Santa Elisabetta; Iacono fu ucciso da Nicola Brancato di Palme di Montechiaro, Putrone Giuseppe e Vecchia Sergio. Anche Messina Giuseppe, che  abitava  in  campagna  e badava alle pecore, venne ucciso su ordine dei Grassonelli, che temevano che il predetto scoprisse gli autori dell'omicidio di mio cugino Gerlando. A sparare fu con tutta probabilità Adorno Filippo il quale, pur abitando in quel periodo a Torino,  la sera del delitto fu visto a Porto Empedocle. Come ho già detto tutti e tre i miei parenti erano stati ritualmente affiliati in "Cosa Nostra", entrando così a far parte della famiglia mafiosa  dei Messina-Albanese di Porto Empedocle. Da giovane io sono stato "curato" da Putrone Giuseppe, anch'egli uomo d'onore e dopo tutte le stragi avvenute a Porto Empedocle, nel 1986 sono stato "avvicinato", nel senso che mi sono messo completamente a disposizione di "Cosa nostra". La mia rituale affiliazione è avvenuta nel 1989, tre o quattro mesi dopo essere uscito dal carcere. Al rito formale erano presenti Putrone Giuseppe e Salvatore di Porto Empedocle, Salvatore e Leonardo Fragapane di Santa Elisabetta, Gioacchino Capodici di Favara e "Totò" Gioia di Canicattì. Insieme a me prestò il giuramento di rito anche Putrone Luigi. Pur non essendo in realtà responsabile dell'omicidio di Messina Antonino, commesso invece da Vecchia Sergio, Putrone Luigi e Giuseppe, con modalità che in seguito chiarirò, io stesso sono stato autore di alcuni omicidi:  quello di tale Triassi, uno "stiddaro" amico dei Gallea di Canicattì, ucciso in territorio  di  Realmonte.  Il  Triassi  era  un estortore e suo cognato era di Canicattì  ed era stato ucciso a Siculiana. A commettere tale omicidio siamo stati: io, Falzone Alfonso di Porto Empedocle e Putrone Giuseppe. In quell'occasione abbiamo dimenticato in macchina, una Lancia, una delle armi adoperate per l'omicidio e cioè, se non ricordo male, una calibro 38. L'omicidio di Picarelli Benito, ucciso una settimana prima  del  Triassi, da me, Falsone Alfonso e Putrone Luigi, il quale ultimo guidava la macchina. Il Picarelli, di Porto Empedocle, era stato allontanato da "Cosa Nostra" dopo l'omicidio di mio cugino Gerlando e si era avvicinato alla "Stidda". Siamo venuto a sapere  che  cercava  delle  armi  per  ucciderci  e  abbiamo  deciso  di  eliminarlo. Per l'omicidio, commesso a viso scoperto abbiamo utilizzato io un fucile a canne mozze e FALZONE una 38 a canna lunga, anche se eravamo provvisti anche di altre armi e cioè di una calibro 9 e di una 7,65 modello 81". A questo punto l'Ufficio fa presente al Salemi  che dalle dichiarazioni si qui rese emergono elementi di reato a suo carico, onde il presente atto istruttorio non può essere protratto senza la presenza di un difensore e solo nella qualità di un indagato. La risposta di Salemi fu perentoria: "Intendo  parlare  di  quanto a mia  conoscenza  degli  omicidi   di: Ribisi Rosario, avvenuto il 4.10.1989 a Caltanissetta; di Mallia Giuseppe e Gaspare, avvenuti nel 1993 a Siculiana; di Lauria Calogero, avvenuto a Siculiana nel 1984; dei fratelli Balistrocchi, avvenuto a Siculiana in un anno che non ricordo; di tale Trapani e di un giovane di  cui non ricordo il nome, consumati in territorio di Siculiana; dell'omicidio di Brancato Nicolò commesso a Palma di Montechiaro nel 1989; dell'omicidio Giugno Salvatore, avvenuto nel 1996 a Montaperto. dell'omicidio di Lo Zito Giuseppe di Agrigento; di quello del costruttore Russello di Favara;  del tentato omicidio di Farruggia Salvatore e Salemi Gaspare in  Realmonte; dell'omicidio  del  Maresciallo  Guazzelli  avvenuto   in   territorio  di   Agrigento; dell'omicidio del Brigadiere Di Lorenzo Pasquale;  dell'omicidio di Traina Giuseppe avvenuto in Porto Empedocle; Voglio altresì riferire degli equilibri mafiosi recentemente stabilitisi in alcuni Comuni dell'agrigentino e ad Agrigento; della situazione mafiosa di Alessandria della Rocca, dove sono stato in soggiorno obbligato  e  dove  sono  stato  in  stretto   contatto   con   uomini   d'onore   quali   Di Girgenti Vincenzo, Sedita Emanuele e Carlo Cimò e con Valenti Fabio e Nino; della situazione di  Cianciana, dove ho conosciuto come uomo d'onore Pollari Giovanni; nonchè dei centri di Santo Stefano di Quisquina,di Bivona, di Cammarata e di Ribera e di omicidi commessi in quei centri; di estorsioni e di spartizioni  di sub-appalti nel territorio di Porto Empedocle; dei luoghi in cui nell'agrigentino è stato tenuto in sequestro Di Matteo Giuseppe e ad opera di chi. Queste ed altre circostanze voglio specificatamente riferire, collaborando con l'Autorità giudiziaria al solo scopo di trovare una mia nuova dimensione ed una nuova vita per mia moglie Salemi Nunziata e per le mie figlie, una delle quali studia ancora in Porto Empedocle. In quest'ultimo centro abitano anche mia madre, mia sorella, mio cognato e altra mia sorella a nome Francesca. Condizione della mia collaborazione è naturalmente l'adozione di adeguate misure di sicurezza per me e per i miei parenti".

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