I ponti: da sempre sono stati costruiti dagli uomini per unire due luoghi separati, per colmare un abisso in mezzo a due sponde. Il ponte è un’opera ingegneristica di tale e tanta rilevanza da trascendere la sua utilità pratica per divenire finanche il simbolo dell’incontro tra mondi differenti. La parola “pontefice”, per esempio, derivando dal latino “pontifex” sottende l’opera di costruire un ponte tra la dimensione degli uomini e quella della divinità: il Pontefice, infatti, è il sacerdote la cui funzione è far dialogare gli uomini con dio.
Che i ponti siano fondamentali per riunire la diversità e farla convivere in pace è dimostrato anche dalle immagini raffigurate sulle banconote dell’euro: cosa vi si vede sopra, infatti, se non ponti? Dai ponti di muratura a quelli d’acciaio, a voler significare che tra i popoli europei non debbono più esserci divisioni, guerre e competizioni malsane, ma scambi commerciali, d’informazione e culturali.
In mezzo a tutta questa poesia o filosofia che faccio dietro al mio computer (ma mi chiedo dove dovrei farla: nelle sedi di partito?), vi è anche la triste metafora di una Sicilia che sta crollando come i suoi ponti. Mi auguro, a questo punto, che quello sullo Stretto non venga mai fatto! Non si tratta di accusare qualcuno in particolare, bensì di denunciare un intero sistema di gestione della cosa pubblica.
Tutto ciò non già per un qualche recondito motivo, ma semplicemente per evidenziare come tutti i piloni che sostengono le nostre strade e i nostri ponti sono potenzialmente lì lì per crollare, essendo stati costruiti nello stesso periodo e non essendo mai stati sottoposti a periodiche ed incisive manutenzioni. Lo stato delle nostre strade è pessimo e tale da esporre chi le utilizza a rischi evidenti o a danneggiamenti delle autovetture. A tutto ciò adesso sappiamo di dover aggiungere anche il pericolo che le strade possano sprofondare da un momento all’altro. Di chi sia la colpa, non ne ho idea. Non certo degli amministratori comunali; certamente di un sistema di gestione delle risorse pubbliche non trasparente e non opportuno di cui gli amministratori comunali – in quanto soggetti politici – sono comunque corresponsabili, dati:
1) la loro ostentata affiliazione a questo o quel uomo politico che fa costruire strade, che finanzia centri di formazione, che eroga soldi e fa promesse per progetti che non vedranno mai la luce e così via;
2) che sono loro l’anello di collegamento tra gli elettori e gli eletti. Che i rapporti privilegiati con questi onorevoli servano solo per ottenere autorizzazioni, posti di lavoro e finanziamenti europei?
Si offenda chi vuole, ma nei tempi di crisi tutti i nodi vengono al pettine: perché, mi chiedo, continuare a fidarsi delle stesse persone e delle stesse pratiche di governo?
Nicola Palilla
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